Può sembrare inutile dire che è un paese dai molti contrasti, ma è
proprio così. Sarà forse perché abbiamo visto solo la parte sud del
paese, che è veramente grande e variegato, ma mi è rimasto il dubbio se
sia un paese nero con pochi bianchi o un paese bianco con molti neri.
Città del Capo, dove arriviamo, è a tutti gli effetti una grande città
moderna del tutto simile a molte città europee, questo se non si
considera ovviamente il colore della pelle degli abitanti che come
spesso succede si vedono raggruppati in quartieri separati, compreso
quello degli ebrei e dei mussulmani. I cambiamenti non sono mai
semplici! La città offre qualche spunto interessante, come la salita
alla montagna piatta che la domina o qualche visita ai musei ed
esposizioni che descrivono il periodo storico dell’aparthaid.
Inevitabile anche la visita al faro del Capo di Buona Speranza, che,
anche se non è il punto più a sud del continente africano, è sicuramente
quello più importante e quella alla riserva di pinguini del Capo
veramente imperdibile. Su tutto domina lo spettacolo dell’oceano, sempre
inquieto e agitato da un vento che “anche quando non c’è è forte” che
arriva direttamente dall’Antartide, non essendoci niente in mezzo che lo
possa fermare. Noleggiata un’auto partiamo per un giro che ci porterà
costeggiando il mare sino a Port Elisabeth e da lì il ritorno sulle
strade interne dell’altipiano sino alla rotta del vino. Lungo il percorso visitiamo un allevamento di struzzi nella zona di Outshoorn ed incontriamo la
bella città di Knysna con una
spettacolare baia divisa tra una zona residenziale ben curata e
sorvegliata agli ingressi, una parte “normale” con un classico degrado
urbano ed infine una “stone town” (gli antichi ghetti negri), anche se
adesso è visitabile essendo di fatto diventata meta turistica per giri
organizzati, strutturata come un agglomerato di baracche in legno,
cartone e lamiera arrampicate sul fianco che sovrasta la baia, che dire
catapecchie ma con una vista splendida. Altra sosta inevitabile è quella
nel parco nazionale di Tsitsikamma, unico parco marino del paese,
animali pochi ma la vista dell’oceano sotto il balcone del bungalow che
sembra una baita alpina è sempre uno spettacolo inimitabile. A Port
Elisabeth non c’è niente di entusiasmante e fatta una sosta tecnica
proseguiamo tornando a sud verso l’interno tra foreste, deserti e
vigneti. Naturalmente non poteva mancare la visita ad un parco per
vedere da vicino gli animali tipici del paese e per non sbagliare
decidiamo di vederne due. Il primo è un parco nazionale dove si fa un
itinerario con la propria vettura (tipo zoo safari), l’ambiente è molto
bello e gli animali sembrano trovarsi a loro agio, come a casa loro, ma
vediamo solo erbivori, elefanti, zebre, kudu (antilope endemica),
facoceri, gazzelle, ecc. La cosa più curiosa la scopriamo quando
arriviamo in una zona della savana con una specie di recinto
elettrificato, ma quelli dentro siamo noi, che ci permette di
avvicinarci a pochi metri da una mandria di elefanti scrutandoli dagli
appositi buchi fatti in una palizzata per non essere visti. La cosa
curiosa è un cartello che proibisce di dare da mangiare arance agli
elefanti perché pare gli provochi un’eccitazione simile a quella data
dall’assunzione di una droga. Il secondo è un parco privato dove
facciamo il giro su di un loro fuoristrada ed incontriamo i soliti
erbivori, più un paio di enormi rinoceronti che dopo essersi abbeverati
ci passano vicini incutendoci un certo timore. Ma il bello viene quando
arriviamo in una zona dove si sta riposando una famiglia di quattro
leoni ai quali ci avviciniamo a non più di 3 metri, che per fortuna, visto
che siamo su di un’auto scoperta, hanno la pancia sicuramente piena.
Dopo la traversata di un altopiano desertico arriviamo a Graft Reineth,
sicuramente la più bella tra le città viste, con le sue caratteristiche
case in stile olandese, retaggio della fondazione della città da parte
dei Boeri in fuga dalla costa occupata dagli inglesi. Qui abbiamo
l’occasione di visitare anche il parco locale che ha come
caratteristica particolare una grande colonia di scimmie. La sera
saliamo su di un enorme sperone roccioso che domina la pianura per
vedere il tramonto sulla città che lentamente scompare nel buio della
sera. Sarà vero, come dicono molti fotografi famosi, che i tramonti sono
ormai banali, ma quando ci si trova in posto come questo, tutto si può
dire tranne che lo spettacolo sia banale e soprattutto che sia da non
fotografare.
L’ultima tappa ci porta sulla rotta del vino (tanto per cambiare), da Stellenbosch
a Franschhoek, che ci stupiscono per la perfezione geometrica dei
vigneti e la cura nel trattamento antico che dall’uva porta al vino.
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ANIMALI |
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Non avranno tutte le varietà di vitigni presenti in Europa, ma chissà,
forse qualcosa potremmo impararlo anche noi. Il rientro a Cape
Town è come al solito quello della fine di un viaggio, forse un po’
triste ma carico di emozioni, anche perché l’ultima escursione la
dedichiamo alla locale Stone Town, che a differenza di quella di Knysna,
si presenta come una distesa immensa di baracche di legno, lamiera e
cartone, chiuse da una apparentemente infinita palizzata di cemento. È
pur vero che il recinto è stato abbattuto ed aperto in più punti e l’aria
è attraversata da una moltitudine di fili che portano elettricità a
tutte le baracche per le onnipresenti televisioni, facilmente individuabili dalla selva di
antenne sui tetti, ma l’impressione è forte e i dubbi sono tanti. Sarà
davvero cambiato qualcosa nel mondo? |