Come spesso accade i viaggi si
fanno prima con la fantasia che con la realtà. Nel mio caso il Messico è
stato un sogno durato circa 30 anni, cioè da quando ragazzino tredicenne
iniziai ad appassionarmi alle culture precolombiane, a quei tempi poco
conosciute.
Forse c'è una volontà inconscia che fa si che le cose molto sognate si
vogliano far rimanere tali, sta di fatto che il viaggio in Messico nasce
nel 1989 quasi casualmente. L'organizzazione è veloce, biglietti aerei,
noleggio auto, tre zaini e tutta la famiglia è pronta a partire. Il
progetto è ambizioso, in un mese visitare tutto il Sud-Est del Messico
(faremo infatti 7500 Km) per vedere tutte le "pietre" lasciate
da quegli antichi abitanti e conoscere le realtà di quelli attuali.
L'itinerario è tracciato grossolanamente e prevede le seguenti tappe:
Mexico, Veracruz, Campeche, Uxmal, Chichen Itzà, Chetumal, Palenque, il
Chiapas, Oaxaca, Mexico.
Questa vuole essere semplicemente la testimonianza di alcune emozioni,
sono molte le curiosità e gli aneddoti che si potrebbero raccontare, uno
per tutti è quanto ci accade nella città di Veracruz.
Nel più grande porto messicano dell'Atlantico vi è un bar
caratteristico, il Cafè della Paroquia, nel quale il latte bisogna
"chiamarlo". Infatti ordinando un caffè con latte viene servito
il caffè e del latte nessuna traccia. Dopo averlo più volte richiesto,
ecco spiegato il mistero da un cameriere che con aria di sufficienza batte
ripetutamente il cucchiaino sul bicchiere. Subito arriva un altro
cameriere la cui unica mansione è di girare per i tavoli con una vecchia
brocca di alluminio piena di latte caldo per versarlo nelle tazze già
pronte al primo richiamo. Insomma, ci era stato detto chiaro che il latte
bisognava chiamarlo!
A parte questo ed altre piccole cose peraltro piacevoli, come dei
“bicchieri” di gamberetti crudi e sgusciati offerti a poco prezzo da
venditori improvvisati, durante l'attesa per l'imbarco sul traghetto per
l'isola del Carmen, arriviamo dopo pochi giorni nel cuore dell'impero dei
Maya. Questa civiltà che era già in declino all'arrivo degli spagnoli è
stata giustamente definita la Grecia delle Americhe per la raffinatezza
della sua cultura e per il grado di civiltà raggiunta. L'idea è quella
di vedere tutte o quasi le città Maya e quindi non solo quelle grandi e
famose ma anche le minori, le più piccole o quelle di recente scoperta.
Lo Yucatan è un'immensa foresta, poggiata su di una pianura calcarea con
alberi di medio fusto ma fitta oltre all'immaginazione. Nel cuore di
questa giungla tropicale si celano ancora molte rovine di questa civiltà,
e questo per un'amante dell'archeologia ha un certo fascino.
L'itinerario è grosso modo quello classico di tutti i tour organizzati, e
con la visita ai tre centri cerimoniali più famosi: Uxmal, Chichen Itzà
e Palenque. Di queste si può dire quello che si legge su tutti i depliant
turistici, Uxmal è la più grandiosa e ben conservata, Chichen Itzà
quella con più monumenti caratteristici e Palenque la più
impressionante, immersa com'è in una giungla di tipo pluviale.
Durante tutto questo giro, di circa 3000 Km, riusciamo a visitare anche
diversi altri centri seguendo le indicazioni di una carta stradale
acquistata sul posto e di molti indio che ci fermiamo a consultare e con i
quali conversiamo piacevolmente durante i vari acquisti fatti sui mercati
di paese. Ci troviamo così a Sayil, Labnà e Kabah, piccoli centri poco
distanti da Uxmal e dalla strada principale, visitandoli provo la strana
sensazione provata anni prima leggendo i libri di Stephens, Thompson ed
altri oppure guardando i disegni di Catherwood e partecipando quasi a
quelle loro scoperte ormai lontane. Infatti siamo soli a contatto con
queste mute testimonianze storiche senza quelle onnipresenti frotte di
turisti stanchi, sudati e frettolosi scaricati in malo modo da grossi
pullman. A Labnà il recinto archeologico è custodito da una famiglia
india che vive oltre che dello stipendio statale (che presumo basso) della
vendita di alcuni prodotti di artigianato più o meno buoni e più o meno
appariscenti. Decidiamo di comperare un'amaca che pur non essendo colorata
come quelle di cotone, è fatta artigianalmente con fibre di sisal,
(un'agave molto diffusa in quelle zone) conciata a mano dal vecchio della
famiglia e garantita per 25 anni! La visita a questi centri è una vera
immersione nel passato. Il recinto è tenuto discretamente pulito ed in
ordine e fa pensare che sia ancora abitato anche se gli unici rumori sono
quelli striduli delle cicale e quelli gorgheggianti degli uccelli, e le
uniche cose che si muovono, oltre a noi, sono delle gigantesche iguane che
si aggirano tranquille tra i ruderi.
Passato Chichen Itzà ci dirigiamo verso il mare dei Caraibi puntando su
Tulum, unico centro Maya posto sul mare. Non è sicuramente dei più
grandi o dei meglio conservati, ma il mare (e non uno qualunque) gli
conferisce un fascino unico che vale un viaggio. Dopo la visita con
relativa scalata al “palacio” e solite fotografie di rito, si procede
ad un rapido strip con conseguente immersione in quel mare da favola. Non
è solo per poi poterlo raccontare, il Caribe ha un fascino unico dovuto
al suo tepore, ai suoi colori incredibili e in più essendo la fine di
Giugno, fa un caldo pazzesco. Ma soprattutto quello che resta nella mente
è il contatto con quel mare che da secoli bagna quelle rovine e ne è
come parte integrante ed indissolubile.
Ci concediamo poi una variante un poco più mondana visitando la laguna di
Xel-ha. Il posto è stupendo e consiste in una laguna quasi chiusa
rispetto al mare, dove è possibile fare il bagno nuotando in mezzo a
pesci tropicali di tutte le fogge e colori. Anche se contornati da molta
gente, tra cui turisti ma anche molti locali, lo spettacolo è comunque
molto avvincente e le escursioni subacquee stimolanti per la fantasia.
La costa caraibica del Messico finisce sul confine del Belize nella città
di Chetumal. La città è veramente brutta, essendo un tipico posto di
frontiera, e in più come zona extradoganale attira una moltitudine
variegata di persone, come immagino dovesse essere stato per le città del
Far West del secolo scorso. L'unica ragione che ci porta qui è la
possibilità di poter visitare Tikal in Guatemala nel mezzo della giungla
del Peten, forse la più grande tra le città Maya sino ad ora scoperte.
Le possibilità sono due, passare per terra attraverso il Belize o
arrivarci in aereo. La prima ci risulta difficile in quanto il visto di
entrata e uscita viene fatto esclusivamente nella capitale, per cui si
corre il rischio di rimanervi bloccati per alcuni giorni. La seconda ci
viene esclusa poiché nonostante le nostre ricerche non troviamo nessun
pilota che ci porti in Guatemala a causa dei problemi che la guerriglia
crea su quei confini. Mi viene da pensare: turisti fai-da-te, ahi, ahi,
ahi. Ma è solo un attimo, preferisco sempre un poco di incertezza alla
troppa ovvietà. Pazienza, sarà un motivo in più per tornare un'altra
volta in questa zona del mondo.
Iniziamo a questo punto il rientro verso Città del Messico e sulla strada
che attraversa la parte bassa dello Yucatan ci aspetta una gradita
sorpresa. Questa strada che taglia la giungla con una linea retta di 300
Km dai Caraibi all'Atlantico parallelamente alla frontiera con il
Guatemala, è stata fatta recentemente e nel tracciarla sono stati
scoperti casualmente alcuni centri Maya. Attraverso uno strada trasversale
neanche troppo brutta, ci troviamo con una deviazione di poche decine di
Km a Kohunlich e qui la sorpresa. Il sito archeologico appare come appena
scoperto, non vi è nessun guardiano e i pochi segni della "civiltà"
si limitano ad alcune baracche usate forse dagli archeologi durante i
primi scavi. Non c'è nessuno tranne noi, le poche piramidi che si
intravedono sono ancora immerse nella vegetazione e solo una è
sufficientemente ripulita da alberi e liane. E' uno spettacolo avvincente.
Tutti i gradini sono ricoperti da mascheroni alti come una persona con
tracce di quelli che dovevano essere i colori originali, riparati ora da
un piccolo tetto di canne. Non è certo bella e maestosa come la piramide
dell'indovino di Uxmal, ma il fascino che emana è notevole. D'altra parte
nel proprio inconscio si cerca sempre l'avventura originale; questa non lo
è, ma c'è molto vicina.
La voglia di avventure diverse dal solito non ci è ancora passata e così
dopo il fallimento di Tikal ci riproviamo con Bonampack. Questa volta ci
va bene, arrivati a Palenque, dopo una visita di rigore a questo splendido
sito, troviamo un pilota con relativo mezzo di locomozione (chiamarlo
aereo sarebbe veramente pretendere troppo) disposto a portarci, nonostante
il tempo minacci pioggia, non solo a Bonampack ma anche a YachitIan. La
prima è famosa nel mondo per i suoi affreschi, gli unici trovati nella
cultura Maya, ma non offre niente di più, la seconda è invece un'altra
sorpresa. Yachitlan è stata costruita sulle rive del fiume Usumacinta,
che adesso segna il confine tra Messico e Guatemata, nel mezzo della
giungla del Peten.
In un'ora circa di volo non vediamo altro che verde e qualche fiume o
piccolo lago, l'aereo vola a circa 200 m di altezza e offre visioni
indimenticabili. La città è incredibile, immersa com'è in un verde
straordinariamente rigoglioso grazie all'umidità dell'aria che in certi
punti si condensa in nebbia. Alberi enormi ospitano piante rampicanti e
parassite. Quelle che per noi sono piante d'appartamento qui arrivano a
decine di metri d'altezza, mentre il frinire delle cicale è assordante.
Le costruzioni, palazzi e piramidi, sono quasi tutte da scoprire; molte si
intravedono tra le radici delle piante e penso che occorrerà molto tempo
e soprattutto molti soldi per portare alla luce tutto quanto. Rientriamo
stanchi ma soddisfatti convinti di aver visto qualcosa che ci rimarrà
dentro a lungo, insieme all'immagine generale di un paese che merita di
essere visitato anche più a lungo.
Dopo tante sensazioni il viaggio di riavvicinamento a Mexico city si
ritiene debba essere in qualche modo noioso ma qualche cosa di veramente
curioso lo troviamo ancora attraversando la regione del Chiapas vicino a
San Cristobal de las Casas. Al centro del paesino di Chamula si trova la
chiesa di San Juan che presenta alcune caratteristiche "strane".
Appena arrivati sulla piazza per entrare nella chiesa si paga un'offerta
alla comunità per poter essere accompagnati nel suo interno che è
normalmente vietato ai turisti. L'esterno della chiesa è simile a tutte
le altre della zona, costruite nel primo periodo della colonizzazione, ma
il suo interno è realmente incredibile. Vi si trova paglia per terra,
statue di santi a grandezza naturale con i lineamenti indio, candele poste
con grande cura sul pavimento in posizioni precise e geometriche, Coca-Cola,
bambini nudi, donne e uomini che partano tra di loro, da soli, con i
morti, con gli dei, persone che dormono, altre che mangiano e bevono
offrendo parte del loro cibo ai santi. Non vi è altro, non ci sono sedie
o paramenti, non vi è niente dell'atmosfera delle chiese che conosciamo
noi. Nella chiesa vi è anche un Cristo ed una Madonna ma non sono
considerati molto dalla popolazione che si identifica maggiormente nei
santi locali con i loro limiti ed i loro difetti. Infatti per l'anima di
qualche defunto o di qualche santo un po' viziato si vede offrire pane,
Coca-Cola e sigarette americane. Tutto questo lo si può sapere parlando
con i vari “curanderi” dei santi a volte loquaci e disposti al
dialogo, ma solo se si usa molta discrezione cercando di disturbare il
meno possibile i fedeli impegnati nelle loro cerimonie individuali o di
gruppo. L'importante sopratutto è non fare fotografie, la cosa in effetti
mi dispiace un po', ma come sempre si dice in questi casi, non si può
avere tutto dalla vita. |